Servizi
Contatti


Figli del vento

NOTE SPARSE SU “FIGLI DEL VENTO” di Giuseppe Ruggeri.

 

Leggo da sempre Giuseppe Ruggeri e, dopo aver assaporato le illuminate e acute recensioni, veramente esaustive, di Giuseppe Rando e Sandro Gros-Pietro, mi sembra di non poter esprimere ulteriori considerazioni. Ripensando però al suo vissuto letterario, il poemetto “Figli del vento” (Genesi Editrice, 2022) mi appare, più che una novità  un punto d’arrivo di un lungo cammino di giornalista, scrittore, poeta, impegnato in tutte le sue opere, in strutture composite realizzate con metodo quasi scientifico, derivato forse dalla sua esperienza di medico e giornalista,  nelle quali indaga sempre con la curiosità del reporter nella realtà, nell’animo umano in un discorso circolare che racchiude armoniosamente il tutto. Questa è un po’ la sua cifra evidente, per esempio, in “L’ovale perfetto” (2014), in “Sicilieide” (2014, da ricordare il famoso convegno di San Pellegrino) e pure in “Sicilitudine e letteratura” (2010), suo viaggio d’amore attraverso la Sicilia, luogo dell’anima, amato, denigrato in pagine d’ispirazione lirica. In tali opere, pur diverse per genere, è sempre guidato da un pensiero poetante che ben collabora con la sua indole giornalistica in una combinazione davvero originale. Quindi la sua vis poetica esiste già come suo humus interiore che si apre in un fluente linguaggio poetico, ben sottolineato dai critici, passando con estrema facilità da un genere letterario romanzesco ad uno storico, saggistico e poetico, espressione appunto d’amore che si sublima in “Macrocosmi” (2006, Ed. Quaderni del Pagnocco, Messina). Ne riporto la mia recensione per dimostrare che Ruggeri in “Figli del vento” non è una voce completamente nuova, ma rinnovata, quale messaggero di altri grandi valori, alcuni racchiusi già nella sua prima breve silloge: la memoria, la casa, la natura, e il suo mare.

 

Raffinata anche nella veste tipografica la plaquette di Giuseppe Ruggeri Macrocosmi. La avvolge una copertina dai riflessi argentei simili a quelli del mare che percorre il poemetto nelle sue quattro sezioni: Il mare, L'isola, La città, La casa, in particolare nelle prime due. Eleganti i disegni di Piero Serboli che in copertina e nell'interno sintetizzano le tematiche di Macrocosmi.

Luoghi dell'esistenza e dell'anima a cui Ruggeri innalza un canto così vibrante di carica emozionale da stabilire con il suo mare e la sua isola un rapporto simbiotico: "Lingua di terra ... lingua d'amore... lingua diletta, a me! ... Sei il respiro che anelo, l'oasi d'oro | che fa credere sogno la mia vita... Eden tu sei. isola di selve | e di deserti, immagine spietata della mia vita, specchio di Dio | riflesso opaco nella mia memoria". Così i millenari paesaggi marini e terrestri non sono solo suggestivi per effetti cromatici e musicali, ma premi della sua vita: "Da te lontano errai | sospinto dal tenace e tormentoso | tarlo della mia fuga silenziosa” (uno tra i tanti esempi da citare), e insieme sublimati da una viva Memoria storica e dalla coscienza personale. E il tempo del mare trascina con sé, con la sua forza-magia "sudore dei secoli" e attimi di ogni esistenza, anche del poeta, mentre gli spazi sono sempre abitati dal Mito, presenza fascinosa. Il verso è nutrito cioè, in queste e nelle altre sezioni, del substrato culturale e umano dell'autore stesso. Sottesa è infatti la ricerca continua del senso del suo vivere in quei luoghi e più acuta si rivela nella città mai nominata, ma intuita dalle immagini: "Filari grigi giallo tufo eclettici | formano la tua geometria post-sismica | ...città di pietra | avara di portali e chiese e mura |" con "le tue colline, abbraccio nell'azzurro" infestate di calce e cemento. Città vissuta in rapporto d'amore e dolore, diversa dalla città del sogno e dello splendore antico, eppure "tu sei l'ego di sempre, t'identifichi | nei miei passi nel mio battito grave | nel vibrare di un'anima in prigione | che sbatte le sue ali sulle grate |." Inquieta è la ricerca di Ruggeri, insita in realtà in ogni uomo teso verso il luogo ideale, placata infine nella casa ritrovata "Ora ti tengo, casa e a questa stretta | non mollerò...".

E il canto alla sua terra che si apre con il rumore del Tirreno rovesciato sulla battigia, con la visione dell'"...iridata | collana delle sette e più sorelle | che il Mare nostro adornano...", diviene nelle ultime due sezioni colloquio più intimo, talora velato di malinconia "Vivi. città, nella mia amarezza". Colloquio più diretto come in attesa di risposte quasi la città. La casa si fossero umanizzate: " ... ciò che voglio lo sai... Lo sai. città, perché geme e vacilla | la mia storia..."; e alla casa "...perché dunque non parli?..." Colloquio reso più coinvolgente dall'uso dell'imperativo "...vivi città...vivi e muori...dormi, città" "...rivivi adesso, casa, ... Vieni. dunque. T'aspetto...". E la casa ha un cuore: "...Ritrovarlo io voglio, accarezzarlo, | apprezzarne la forma consolante", e ancora "sei la mappa, mia casa, di certezze | incarnate nel nucleo vivo e aperto | del tuo essere malgrado il non essere | d'una trama d'argilla e di cemento". Versi questi percorsi da un'onda emozionale più intensa, scaturita da un profondo sentire gli spazi primi d'ogni vivere civile.

L'elemento naturalistico così turgido all'esordio, ora si diluisce in riflessi. Riverberi egualmente illuminanti immagini più corpose, nate da una sofferta ricostruzione interiore, per disegnare alfine il luogo-radice dell'uomo, quello che legato al passato dà qualità e sostanza anche al presente. E il canto si chiude appunto con un altare alla casa-senso della vita recuperato nella coscienza di anni "inghiottiti d'un sorso".

L'inno-canto-altare dell'autore alla sua terra è reso incalzante dall'endecasillabo, interrotto da versi di altra misura in felice composizione, ed è elevato da un linguaggio prezioso costituito da espressioni di origine greca quasi per andare all'etimo delle parole, e da altre di uso scientifico derivate dall'esperienza stessa di Ruggeri medico, per rendere più autentica e vissuta l'anima delle cose, ma sempre in una compattezza stilistica e in un'armonia di suoni e immagini. Il tutto diviene naturale strumento usato dal poeta che così bene esalta il ritmo impietoso del tempo, la valenza della Memoria e del Mito, e rende i quesiti esistenziali palpitanti del suo impegno etico.

 

“Figli del vento”, poemetto costituito da tanti poemetti, quindi è il risultato di un continuo rinnovamento in echi strutturali danteschi, in respiri filosofici e poetici e reminiscenze bibliche. Il tutto è la manifestazione di un’ispirazione continuamente ravvivata, sgorgata in una dimensione altra della vita che ti plasma attraverso esperienze personali, anche dolorose, in un megatempo esistenziale e sociale arduo e composito. Si matura quindi in un canto autobiografico nelle prime pagine, che diviene poi corale, intriso del dolore e delle sofferenze umane, del degrado di una società devastata dalla guerra, oscillante nel ciclo eterno di vita-morte della natura. […] È il «vento» che «soffia dove vuole» (Giov. 3, 8) ad esercitare una funzione primaria e assoluta nella vita di ognuno. E ciò, oggi come ieri: nunc et semper. Quindi noi siamo sempre figli di questo vento. Braccati dall’eterno processo vita-morte, tendiamo a brancolare nel buio con illusione di luci, fra mille contraddizioni, vuoti, senso del nulla, però con possibilità di salvezza solo grazie a questo vento-Soffio-pneuma che, se ascoltato, dirada le nebbie offrendo spiragli di Luce fino a raggiungere l’Assoluto, profondamente percepito nella nostra comune tensione. In questo suo procedere poetico Ruggeri si salva e ci salva nella grande rivoluzione dell’amore, a cui dedica tutto questo poemetto come un canto da noi atteso, quale catartica conclusione del suo discorso interiore e della globale meditazione. Amore che colma i vuoti della vita e della società grazie anche all’azione salvifica della poesia come manifestazione di quell’Assoluto tanto cercato, sublimato alfine nella figura della Donna, la sua Donna, emblema di tutte le Donne e in questo inno si abbandona finalmente fiducioso come fiume nel mare. Liricamente coinvolgente il suo incipit del poemetto: … Le donne della mia vita / mi hanno reso chi sono / senza mai chiedere nulla in cambio / solo un soffio di tempo / da dedicare al loro sguardo / perché vi vedessi il sole / e la luna e i pianeti del cielo

E tutto avviene per la presenza di Dio vissuto come in una preghiera, che verrà e continuerà a salvare il poeta e l’umanità intera. È questo suo poema una esaltazione della vita che deve essere vissuta in ogni caso proprio come una riscoperta dell’amore per onorare anche le assenze dei sogni, così riscoprendo nella perdita la rinascita di germogli, di fronde indispensabili per vivere individualmente e coralmente uniti nella solidarietà, nel fraterno aiuto reciproco che vinca i dissidi, le guerre: messaggio ben attuale di cui oggi più che mai avvertiamo il richiamo. Il tutto è espresso in un linguaggio agile, moderno e antico insieme, aperto in immagini di natura mozzafiato, con l’uso magistrale, proprio di chi conosce da tempo la scrittura poetica, di figure retoriche, di ricerche d’avanguardia, in espressioni, immagini preziose, eleganti, esibendo uno stile sostenuto e dilatato dal vento, nello sfondo di quel mare da lui sempre evocato. Questo poema quindi, nel suo cammino di scrittore in cui ogni opera ha una sua valenza ben precisa, rappresenta, ritornando all’incipit di queste mie note, un punto d’arrivo non comune raggiunto attraverso una lunga indagine autobiografica, esistenziale, sociale in cui poesia e filosofia si incontrano armoniosamente. Un punto d’arrivo che non si chiude però, lascia aperto il respiro per una ricerca continua del senso della vita nel riproporsi delle stagioni, degli eventi.

 

 

Recensione
Literary © 1997-2024 - Issn 1971-9175 - Libraria Padovana Editrice - P.I. IT02493400283 - Privacy - Cookie - Gerenza